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La storia di Massa Marittima abbraccia un lungo periodo di tempo che inizia dall'epoca preistorica fino ai giorni nostri.

L'età antica[]

La storia antica di Massa Marittima è scarsamente documentata, ma è certo che l'area circostante fu abitata già in epoca preistorica, come testimoniano numerosi ritrovamenti databili alla fine del paleolitico nelle località di Pianizzoli, Valmora, Le Tane e Vado all'Arancio.

Insediamenti etruschi sono stati invece rinvenuti nella zona del lago dell'Accesa e non solo (Campo al Ginepro, Macchia del Monte, Poggio Corbello, Poggio Castiglione,[1] Podere Nuovo e Valpiana) databili in un lungo periodo di tempo che va dal IX al V secolo a.C.

Ulteriore prova dell'esistenza di un probabile insediamento nel luogo in cui oggi grossomodo sorge Massa Marittima è dato dalle Res Gestae di Ammiano Marcellino, dove viene citata una Massa Veternensis come luogo di nascita di Costanzo Gallo (325 ca. – 354),[2] nipote di Costantino, riconducibile forse alla località di Massa Vecchia.

L'età medievale[]

Le prime testimonianze[]

Tuttavia non si ha notizia del centro maremmano nei secoli successivi e l'unico documento che, secondo alcuni studiosi, riguarda il territorio massetano, è un atto di compravendita redatto a Lucca nel 746 dal notaio Altiperto: un terreno di un luogo chiamato Favario, presso il Teupascio, venduto da Causulo in parte al presbitero Tanualdo di San Regolo ed in parte ai figli del defunto Radiperto, al costo di 18 soldi d'oro. La località è identificabile con la zona di Massa in quanto Teupascio indica il fiume Pecora e la valle circostante, mentre Tanualdo era il rettore della chiesa di San Regolo in Gualdo, presso la località di Frassine sulle Colline metallifere.

Il nome di Massa compare per la prima volta in un documento del X secolo, in un elenco di castelli e corti venduti al chierico Ropprando dal marchese Lamberto il 18 aprile 973 e successivamente ricomprati da Ermengarda, rimasta vedova di Lamberto, il 15 febbraio 986.

L'eredità di Populonia[]

Il secolo che sancisce la definitiva fioritura della città è il secolo XI, quando avvenne il graduale trasferimento a Massa Marittima della sede episcopale di Populonia, saccheggiata dai pirati greci e distrutta dalla flotta di Niceta, prefetto di Costantinopoli: una lettera di papa Alessandro II al vescovo Tegrino del 1062 testimonia il già avvenuto trasferimento del vescovo a Massa, da far risalire probabilmente agli anni intorno al 1015 – dopo la distruzione di Populonia nell'817 i suoi vescovi si trasferirono prima al Cornino e poi al Gualdo del Frassine. Non è dato sapere tuttavia l'anno effettivo della titolatura ufficiale: nel 1075 appare sempre il titolo di Populonia; nel 1099 appare il doppio titolo di Populonia e Massa; solo nel 1115 appare il titolo Massensis.

Le lotte per le investiture[]

Sotto il vescovato di Giovanni III, il vescovo iniziò ad apparire giuridicamente come feudatario. Il vescovo esercitò con il titolo di "principe" il dominio su Massa Marittima, città finita tuttavia nelle mire dei conti Aldobrandeschi, signori di stirpe longobarda che signoreggiavano in tutta la Maremma grossetana.

Nel 1164 l'imperatore Federico Barbarossa concesse Massa agli Aldobrandeschi con un diploma, mentre nel 1194 Enrico VI, figlio del Barbarossa, investì feudatario della città Ildebrandino Aldobrandeschi, cui seguì la rivendicazione del vescovo Martino il quale, rivolgendosi al tribunale imperiale di Pisa, riuscì ad impossessarsi nuovamente del feudo. Il conte Ildebrandino tentò di far valere i propri diritti, ma ricevette una sentenza di condanna del suo operato il 15 dicembre 1196.

L'intera diocesi era nel frattempo divenuta suffraganea dell'Arcivescovato di Pisa e il feudo si pone in accomandigia alla città marinara nel 1216.

La nascita del libero comune[]

La fiorente crescita economica della città, soprattutto nel campo della metallurgia, e la nascita di una borghesia cittadina portò la popolazione di Massa a scontrarsi più volte con il vescovo, del quale non riconosceva i diritti. Inoltre, la diocesi stava attraversando una grave crisi economica: il vescovo si ritrovò a dover impegnare il castello di Valli e poi il castello di Monteregio. Il vescovo Alberto fu costretto a rinunciare a tutti i beni, con l'eccezione del castello di Monteregio, lasciando ai massetani il diritto di scegliere il podestà e le altre cariche istituzionali come più avessero preferito, e concedendo loro la possibilità di costruire nuove strade ed abitazioni all'esterno della Città Vecchia. Il patto viene concluso il 31 luglio 1225 e sancisce la nascita del libero comune di Massa.

Tuttavia, nel rispetto del vecchio documento del 1216 che riguardava l'accomandigia a Pisa, i massetani, allora rappresentati dal signore Bernardino di Toso, dovevano scegliere un podestà che fosse cittadino pisano: così fecero a partire dal 1226.

Negli anni successivi la città si sviluppa con la creazione di nuovi quartieri, inaugurati nel 1228 con la costruzione della rocca, l'odierna Torre del Candeliere, sotto la podesteria di Tedice Malabarba.

I rapporti tra Massa e Siena e i primi dissapori[]

I senesi, intervenuti negli anni precedenti pacificamente nelle dispute tra il vescovo e la popolazione, iniziarono a sviluppare a Massa una certa influenza economica.

Nel 1232 fu stipulato un patto di collaborazione ed amicizia tra Siena e la città maremmana, permettendo di fatto ai senesi di intervenire maggiormente negli affari cittadini. Nel 1241 un altro patto permise agli abitanti delle due città di soggiornare liberamente nell'una e nell'altra; nel 1241 la ghibellina Massa inviò degli aiuti a Siena per la guerra contro i lucchesi e nel 1253 contro Firenze, venendo sconfitti a Monteriggioni; nel 1260 Massa e Siena combatterono a fianco, insieme a Pisa, nella celebre battaglia di Montaperti, vincendo la lega guelfa.

Negli anni successivi, tuttavia, sia Siena che Massa passarono dalla parte dei guelfi.

I primi massetani a legarsi a Siena furono i conti Pannocchieschi, che divennero cittadini senesi nel 1263. Nel 1273 accadde che Massa si ritrovò in ostilità con i Gherardeschi, ma in battaglia i Pannocchieschi accorsero in aiuto dei nemici. Iniziarono così le prime inimicizie, con Siena che difendeva i Pannocchieschi, ormai propri concittadini, e con Massa che di tutta risposta, l'anno successivo, nominò come podestà il ghibellino Ildebrandino di Bonifacio Aldobrandeschi. Per la guelfa Siena questo fu visto come un affronto e la situazione, ormai tesa, degenerò quando Gualtieri Apprando di Ravenna, vicario di re Carlo d'Angiò, si intromise nel tentativo di lenire i dissapori, fornendo ad Ildebrandino il Rosso, cugino e nemico del podestà di Massa, un esercito affinché muovesse contro la città maremmana. Il vicario chiese aiuto militare a Siena, la quale, non volendo perdere definitivamente l'alleanza con Massa, rifiutò. Il conte Rosso, tuttavia, saccheggiò e depredò con il suo esercito i territori massetani, tanto che alla fine Massa, per rappresaglia, aiutata dai conti d'Elci, di Sassoforte e di Prata, razziarono Piancastagnaio, di proprietà del Rosso.

La città maremmana, inoltre, divisa tra una popolazione guelfa e le alte sfere ghibelline, vide le due fazioni scontrarsi in una lotta intestina, con i guelfi che, alleatisi con i Pannocchieschi, presero e distrussero la rocca di Scarlino, di proprietà del podestà ghibellino. L'esercito massetano allora, comandato da Bertoldo da Sassoforte, riconquistò il castello di Scarlino, sconfisse i guelfi e i Pannocchieschi presso Giuncarico ed uccise il conte Fazio di Campiglia d'Orcia ed il conte Bernardino di Perolla. Siena intervenne e nel 1275 inviò a Massa il proprio podestà Rolando Pultaci per concludere una pace tra la città ed i Pannocchieschi e per far eleggere il nuovo podestà: il senese Giacomo Gallerani.

Inoltre, la disputa tra Massa e i Pannocchieschi fu risolta con un lodo senese, che imponeva ai massetani di riammettere i guelfi e i Pannocchieschi all'interno della città e di restituire loro i beni confiscati. Massa insorse e cacciò Gallerani: Siena rispose così con le armi. La città fu assediata ed il 26 aprile 1276 i massetani furono costretti ad accettare il lodo, richiamare Gallerani, abbandonare definitivamente i legami con Pisa e sancire una lega con Siena. Molti ghibellini locali, tra cui l'influente famiglia Todini, decisero di lasciare Massa: rientrarono in città solamente nel dicembre del 1280.

Le tre leghe con Siena e la ribellione[]

Massa si ritrovò costretta per tre volte a legarsi con Siena.

La prima lega (1276-1307) vide la città partecipare alle guerre contro Santa Fiora (1280), contro Arezzo (1288) e contro Pisa (1291-93). Si registra anche una sommossa interna da parte della famiglia di mercanti Gufi (1287), velocemente repressa. In questi anni fu redatto inoltre il celebre statuto minerario di Massa Marittima.

La seconda lega (1307-1319) vide Massa impegnata in guerre contro San Gimignano (1310), in aiuto di Volterra, città con la quale era da anni in rapporti di amicizia, e nuovamente contro Pisa (1314-1315), che si risolse in una tregua. Nel 1317 Massa occupò il castello di Gerfalco e l'anno successivo si ribellò nuovamente a Siena: celebre fu la defenestrazione del podestà Niccoluccio Mignanelli, di origini senesi, dal Palazzo del Podestà.

La terza lega (1319-1326) vide la città maremmana in guerra nuovamente contro i Pannocchieschi, culminata con la presa del castello di Travale. Negli anni tra il 1331 e il 1332, Massa si alleò tuttavia con Pisa contro Siena, ma la guerra si risolse con una vittoria senese.

La fine del libero comune[]

Gli anni tra il XIII e il XIV secolo furono fiorenti per Massa Marittima, che vide un'espansione senza pari e la costruzione di numerosi edifici visibili ancora oggi, come sicuramente la chiesa di Sant'Agostino, che andò a sostituire nelle funzioni la vecchia chiesa di San Pietro all'Orto, la chiesa e convento di San Francesco ed il convento delle Clarisse. Nella sola città si contavano circa quattro ospedali e secondo alcuni la popolazione della città arrivò a toccare i diecimila abitanti. Inoltre, l'11 aprile 1317, i massetani iniziarono a battere moneta propria, il Grosso.

Il libero comune, fiorente e con moneta, non durò tuttavia ancora per molto. Nel 1335, dopo continue lotte tra Massa e Siena e l'inasprirsi sempre più dei rapporti, il comune maremmano dovette arrendersi ai senesi, i quali, per dimostrare la loro autorità, mozzarono la torre della città di un terzo della sua altezza e iniziarono a costruire la fortezza conosciuta come Cassero Senese, completata il 19 febbraio 1337.

Il 1337 sancì anche la fine dell'autonomia di Massa Marittima, ormai del tutto assoggettata a Siena.

Il declino[]

In due occasioni Massa tentò di liberarsi dalla soffocante dominazione senese: la prima volta, quando nel 1354 l'imperatore Carlo IV scese in Italia, i massetani gli si offrirono in accomandigia, ma una cospirazione dei senesi lo fece allontanare; la seconda volta, nel 1372, quando proposero a papa Gregorio XI, passato in Maremma per recarsi a Civitavecchia, di porsi sotto di lui come città indipendente.

Siena risolse i tentativi di insubordinazione facendo spopolare la città: si trasferirono a Massa due colonie, una corsa ed una pisana, e da allora le speranze di libertà si stroncarono per sempre.

Le pestilenze (le più gravi nel 1348 e nel 1400) ed il calo demografico portarono la città ad una decadenza fino ad allora mai conosciuta, cui si aggiunse l'insalubrità del luogo, poiché i senesi mai si interessarono, come accadde anche a Grosseto e in altre località della Maremma, alle opere di bonifica.

Il 23 aprile 1459, tanto era ormai il distacco da Pisa e la sottomissione a Siena, anche la diocesi entrò a far parte della provincia ecclesiastica dell'arcidiocesi di Siena.

L'età moderna[]

La fine dell'egemonia senese[]

Nel 1501 Massa ebbe la visita di papa Alessandro VI, il quale aveva invaso il principato di Piombino nel tentativo di indebolire Siena eliminando i piccoli regni che le davano appoggio.

Il 23 settembre 1530 subì un terribile saccheggio ad opera degli spagnoli ed inutili furono le richieste d'aiuto a Siena.

Nel 1552, durante la guerra tra i senesi e il duca Cosimo de' Medici, la fortezza di Massa fu dotata di artiglieria, ma due anni dopo la città capitolò, assediata dagli spagnoli guidati da Carlo Gonzaga, alleati dei Medici. Il 3 febbraio 1555 la città fu inglobata nel Granducato di Toscana.

La città sotto i Medici[]

Durante il dominio mediceo, la città conobbe un iniziale tentativo di bonifica ad opera del granduca Ferdinando I, con il prosciugamento del padule di Ghirlanda, ordinato nel 1596 all'architetto Antonio Sandrini e completato nel 1605; la bonifica del padule di Moreta (1600) e la pulizia dei torrenti Sata, Rialla e Citenne (1603).

Altri provvedimenti granducali erano mirati a risollevare il numero di abitanti, ormai ridotto a poche unità, grazie all'arrivo di colonie lucchesi. Ma tutti questi tentativi furono vani: alla morte del granduca, nessuno dei successori si interessò più alle sorti di Massa e della Maremma.

Gli unici interventi erano legati alle attività siderurgiche di Valpiana, mentre per il resto, la mancata assistenza dei torrenti, fecero ritornare in pessimo stato le condizioni ambientali, con un nuovo impaludimento della piana di Ghirlanda. La malaria spopolò nuovamente la città e si registrano anche invasioni di cavallette, che distrussero i raccolti, negli anni 1652, 1653, 1654, 1716 e 1726.

Quando nel 1737 la casata dei Medici scomparve, Massa contava solamente 527 abitanti: 255 nella città nuova e 192 nella città vecchia. «Va' a Massa; guardala e passa» recitava un proverbio di allora.

L'avvento dei Lorena[]

Sotto i Lorena la città rifiorì nuovamente. Massa fu ripopolata con una colonia di circa seicento persone (1745) e vennero migliorate le condizioni dell'ospedale, trasferito nel castello di Monteregio (1744).

Il 18 marzo 1766 il granduca Pietro Leopoldo divise lo Stato senese in due province: la provincia superiore e la provincia inferiore. La provincia inferiore aveva capo a Grosseto ed era a sua volta suddivisa in quattro capitanati, Grosseto, Arcidosso, Sovana e la stessa Massa.

Il 7 marzo 1770 il granduca venne in visita a Massa Marittima e commissionò all'ingegnere e matematico Leonardo Ximenes la bonifica delle aree paludose. Nel 1774 venne prosciugato definitivamente il padule di Ghirlanda e nel 1780 quello delle Venelle, del Pozzaione e dell'Aronna, questi ultimi ad opera dell'ingegnere Carlo Setticelli.

Nel 1799 la Toscana fu invasa dall'esercito francese di Napoleone ed accadde a Massa un piccolo caso diplomatico: il 7 maggio 1799 un gruppo di reazionari massetani, perlopiù di Prata, Tatti e Boccheggiano, attaccarono e massacrarono un piccolo contingente francese presso la valle del Merse, violentando anche la moglie di un ufficiale; il giorno dopo arrivarono a Massa, seminando il panico e ferendo il canonico Inghilesco Malfatti. Fu quindi inviato a Massa il delegato francese Abram con un gruppo di soldati per punire i massetani; tuttavia, il vescovo, le autorità e i cittadini accolsero con benevolenza il delegato e riuscirono a salvare la città spiegando come essi fossero estranei ai fatti della valle del Merse.

Con la caduta di Napoleone, Leopoldo II di Lorena continuò le opere di miglioramento ambientale ed economico della Maremma: fu riaperta la miniera di lignite di Montebamboli, quella di allume di Montioni, e Massa ritornò ad essere città mineraria. Dette nuovo impulso alle ferriere di Valpiana e rese Follonica città della ghisa.

L'età contemporanea[]

Massa partecipò attivamente ai moti risorgimentali che portarono all'unità d'Italia. Garibaldi stesso passò per Massa Marittima, di cui in seguito divenne cittadino onorario, e furono proprio alcuni giovani massetani, i fratelli Lapini, tra gli altri, ad aiutarlo a raggiungere Cala Martina per imbarcarsi verso Porto Venere nel settembre 1849.

Nel 1923 la città di Follonica, da sempre frazione di Massa Marittima, si costituì comune autonomo.

Sul finire della seconda guerra mondiale, infine, si registrano a Massa episodi di lotte partigiane ed un forte impegno nella Resistenza, nonché dolorose tragedie umane: si ricordano l'eccidio degli ottantatré minatori di Niccioleta (13 giugno 1944) ed il barbaro omicidio di Norma Pratelli Parenti, eroina della Resistenza e medaglia d'oro al valore militare (22 giugno 1944).

Nel dopoguerra Massa Marittima si consolidò centro minerario, finché nel 1994 non chiuse l'ultima miniera.

Oggi la città vive principalmente di turismo, grazie alla presenza di numerose opere d'arte, testimonianza del glorioso passato, e alla valorizzazione degli antichi mestieri, legati principalmente alle miniere, che permettono ai visitatori di conoscere una realtà ormai del tutto scomparsa.

Note[]

  1. Per anni è stato creduto che Poggio Castiglione a Massa Marittima fosse il luogo dove anticamente sorgeva la città etrusca di Vetulonia e anche dopo le scoperte di Isidoro Falchi presso la Colonna di Buriano nel 1880, che confermarono definitivamente l'ubicazione della scomparsa città a Castiglione della Pescaia, ci fu chi sosteneva che Vetulonia fosse da ricondurre a Massa. Scoppiarono aspre polemiche che durarono anni: per una panoramica sintetica e puntuale sulla polemica vetuloniese a Massa Marittima vedere le pagine da 171 a 212 della monografia del Petrocchi, Massa Marittima. Arte e storia, Venturi, Firenze, 1900.
  2. «Natus apud Tuscos in Massa Veternensi, patre Constantio Constantini fratre imperatoris, matreque Galla sorore Rufini et Cerealis, quos trabeae consulares nobilitarunt et praefecturae», Ammiano Marcellino, Res Gestae Libri XXXIII, Liber XIV, 11, 27.